Un marchio open source per una moda sostenibile, aperta e partecipata

Articolo scritto per la rivista Loop e tratto dal mio intervento a WorldWideRome Nel 2010 Johanna Blakley, direttrice di un think-tank sui media all’Università della California, ha rivelato di fronte a una platea nutrita della Ted conference che, l’industria della moda, a differenza di altri ambiti del settore creativo non produce valore a partire dalla protezione della proprietà intellettuale: non solo la maggior parte dei capi e accessori venduti non sono coperti da copyright, è proprio questa mancanza di protezione che permette al sistema di essere profittevole. Grazie a questa libertà infatti, aziende diverse sono in grado di replicare capi creati da brand conosciuti in copie più economiche e di renderle disponibili a prezzi più accessibili, ovviamente senza copiare anche il logo#. Quanto più velocemente gli abiti indossati sulle riviste patinate e esposte nelle vetrine delle vie del centro senza cartellino del prezzo, diventano indossabili per tutto il resto della popolazione, tanto più velocemente, più volte l’anno, diventa necessario gettare

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