Mentre esploravo la storia della produzione tessile islandese mi sono imbattuta in alcune ricercatrici che hanno investigato la tradizione nordica con un interesse specifico del ruolo del femminile nella società e con un approccio interdisciplinare. Una di loro è l’antropologa e archeologa Michèle Hayeur Smith, autrice del libro di recente pubblicazione intitolato “The Valkyries’ Loom – The Archaeology of Cloth Production and Female Power in the North Atlantic”, risultato di un’analisi comparativa di frammenti di tessuto prodotti nell’arco di circa 1000 anni. Non ho ancora letto il libro, ma l’autrice è stata abbastanza generosa da pubblicare articoli e tenere lezioni in video permettendomi di approfondire l’argomento.
Ho scoperto il suo lavoro interessandomi al percorso storico delle pratiche di tessitura locali, soprattutto dopo aver visitato il Museo Nazionale d’Islanda a Reykjavik e aver visto, per la prima volta, un telaio verticale a pesi.

Si tratta di un telaio neolitico ampiamente diffuso nell’industria artigianale islandese ma completamente scomparso dopo che i danesi hanno rivoluzionato la produzione tessile locale a partire dal 17° secolo. Fino ad allora, anche se la produzione tessile rappresentava un’industria chiave per l’economia locale, non esisteva un’organizzazione specifica che la gestisse o una produzione centralizzata, e nemmeno delle corporazioni. I danesi non solo importarono telai orizzontali e filatoi, ma tolsero la produzione che era in mano alle donne, centralizzando il lavoro nelle città e formando principalmente uomini:
“Durante i primi 800 anni di esistenza dell’Islanda, le donne erano interamente responsabili della produzione dei tessuti e sebbene il ruolo degli uomini e delle donne nel sistema di produzione della lana fossero complementari, non è errato affermare che le donne fossero alla base del sistema economico islandese, garantendo a un livello molto elementare la sopravvivenza della loro gente in questa terra aspra. I cambiamenti tecnologici nel 18° secolo devono aver portato a una completa riorganizzazione dei ruoli delle donne all’interno della società islandese, e l’orgoglio un tempo acquisito grazie produzione tessile svolta nelle fattorie da donne che sovrintendevano altre donne, e senza il controllo da parte di mercanti o mecenati diminuì, diventando centralizzato e progressivamente integrato nel mondo industriale, anche se molto più tardi rispetto ad altri paesi europei”1
Dopo il passaggio al telaio orizzontale il contributo delle donne si limitò alla fase di filatura, mentre la tessitura divenne un lavoro per uomini e nel XIX secolo i telai verticali furono letteralmente dimenticati:
“Durante gli anni ’70 dell’Ottocento Jón Árnason, allora direttore del museo di Reykjavík, fece diversi tentativi per ottenere un vecchio telaio per le collezioni e per capire come veniva utilizzato. A quel tempo, era ovviamente diventato obsoleto. […] Anche Sigúrður Vigfússon, successore di Jón Árnason, svolse indagini sul telaio e ricevendo varie risposte alle sue richieste. […] Grazie a questi due direttori, il Museo Nazionale di Reykjavík dispone ora di informazioni molto rilevanti per lo studio del telaio verticale e come utilizzarlo in quella che doveva essere la sua forma più evoluta: la tessitura ad armatura saia (twill). […] Oltre al disegno, ai modelli e alla descrizione, c’è un telaio completo nel museo di Reykjavík con un pezzo di stoffa non finito, e anche due travi e un montante. Per ne sappiamo, queste sono le uniche parti dei telai verticali che sono sopravvissute in Islanda.”2
Quindi, fondamentalmente c’è stato un periodo durato più di 800 anni in cui la tessitura era un affare esclusivo delle donne e il contesto in cui avveniva non riguardava semplicemente il lavoro domestico perché la produzione tessile aveva un ruolo centrale nell’economia islandese.
Prima di entrare nei dettagli di quel periodo, facciamo un passo indietro nella storia dell’Islanda quando fu unificata verso la fine del IX secolo. In quel momento, i diversi abitanti che vivevano sparsi sull’isola crearono un’assemblea generale, chiamata Alþing (Althing), riunendo tutti i capi come un Commonwealth. L’Alþing è considerato oggi il più antico parlamento sopravvissuto al mondo e grazie a questo sforzo costitutivo, sono state documentate una serie di leggi e norme, che ci hanno fornito approfondimenti anche sulla produzione tessile e sul suo impatto economico.
I reperti archeologici, trascurati per molti anni, ci mostrano che durante l’era vichinga c’erano molti tessuti diversi, con molte variazioni di colori e modelli di trama. La filatura e la tessitura nella società norrena, specialmente in quell’epoca, erano attività che richiedevano molto tempo poiché creare tessuti a partire dalla lana è un lavoro molto intenso e i tessuti erano utilizzati per molti usi quotidiani e non.
I tessuti non venivano prodotti solo per vestiti, borse, tende, ma anche come vele per le navi vichinghe e indumenti religiosi. Dopo la conversione al cristianesimo, intorno all’anno 1000, si passa principalmente a due tipi di tessitura, il tabby e il twill. Il twill è diventato dominante soprattutto per un motivo specifico: la produzione di vaðmál:
“Vaðmál era un twill 2/2 prodotto secondo linee guida per la misurazione e la qualità registrate nelle sezioni delle leggi (búalög) che disciplinavano la produzione agricola nel codice di diritto islandese medievale.”3

Vaðmál non era solo un pezzo di tessuto, era un oggetto in cui i rapporti di prezzo e valore potevano essere espressi in unità specifiche nel periodo in cui l’Islanda non aveva una valuta. La sua importanza crebbe nel medioevo perché sostituì l’argento, molto più comune in epoca vichinga ma divenuto raro in seguito.
Il termine Vaðmál è composto da due parole: vae, “stoffa tessuta”, e mál, che significa “misura” o “unità”. Può essere tradotto con “misura di stoffa” o in un senso monetario come “denaro-stoffa”4. Il Vaðmál era prodotto principalmente da donne con telai verticali e rappresentava la valuta principale per acquistare e vendere merci a livello locale, all’estero ma anche per pagare le tasse:
“Intorno al 1100 il passaggio dal metallo al panno in lana divenne si consolidò a tal punto che Alþing iscrisse una legge che fissava i prezzi per tutti gli oggetti immaginabili – inclusi oro e argento – ribadendo il precedente rapporto di “sei ells5 nuovi e non usati fatti in casa per oncia”. Allo stesso modo, numerosi statuti che dotavano chiese e monasteri esprimevano il valore delle donazioni in centinaia di tessuti fatti in casa. Il sistema era applicato anche all’estero. […] alla fine dell’XI secolo il precedente standard stabilito dall’argento, fondato sulle attività aggressive e sporadiche dei vichinghi, era stato sostituito dallo standard del tessuto casalingo, basato sul lavoro pacifico e costante delle donne tessitrici. Questa situazione prevalse fino al 1300 circa, quando il pesce essiccato sostituì il filato fatto in casa come principale valuta di esportazione. A quel tempo l’espressione dei valori in centinaia di tessuti era così ben consolidata che i tessuti continuarono a essere uno standard di valore, sebbene nello scambio effettivo fosse poi stato sostituito dal pesce essiccato. Le donne erano coinvolte nella preparazione e conservazione del pesce, ma gli uomini erano i principali approvvigionatori della nuova merce.”6

Se il ruolo di questi telai gestiti dalle donne per centinaia di anni ha avuto un ruolo così centrale nella società islandese, perché sono scomparsi in questo modo?
Il motivo non sembrerebbe solo economico o utilitaristico, ma piuttosto legato alle dimensioni simboliche della filatura e della tessitura e alla loro connessione con gli aspetti spirituali dell’esistenza, la vita, la morte e la crescente influenza della religione cattolica sulla società islandese.
Nella mitologia norrena le tre Norne tessevano il filo della vita di ogni essere, assegnando il destino a ogni mortale e a ogni dio. Si chiamano Urd (il passato), Verdandi (il presente), Skuld (il futuro) e sono analoghe alle nostre Moire o delle Parche rispettivamente della mitologia greca e romana e sono anche loro collegate all’artigianato tessile come un insieme di atti magici destinati a influenzare il presente e il futuro attraverso rituali specifici.
Nel più famoso dei canti in lingua norrena intitolato Darraðarljóð, dalla saga di Njáls, le Valchirie oltre a guidare i guerrieri uccisi nel Valhalla, scelgono anche coloro che muoiono e sopravvivono in battaglia, e lo compiono usando la magia e la tessitura . Nello specifico il poema descrive la visione di un uomo che vide le Valchirie tessere l’esito di una famosa battaglia che ebbe luogo vicino a Dublino nell’anno 1014. Stava camminando la mattina presto e avvistò 12 cavalieri entrare in un dyngja, il pergolato vicino alla casa usato dalle donne per tessere. Incuriosito dalla scena, si avvicinò e sbirciò dalla finestra. Solo allora si rese conto che i cavalieri erano donne, impegnate a lavorare con un telaio verticale, usando intestini umani come fili, una freccia come navetta e teschi umani invece di pietre al posto dei pesi sul fondo del telaio . Dopo aver terminato il processo di tessitura, le vide strappare in pezzi il tessuto per influenzare l’esito della battaglia che si svolgeva lontano da dove si trovavano, ed esprimendo così la credenza molto pagana per cui esiste una forza spirituale in alcuni oggetti e con l’atto delle distruzione è possibile libera e indirizzare tale energia accumulata con il lavoro impiegato per farli.

Questi atti magici fanno parte di una serie di rituali complessi chiamati Seiðr, legati sia al racconto che alla creazione del destino e in grado di aggiungere una dimensione sacra agli oggetti mondani di uso quotidiano.
Seiðr non è un tipo di stregoneria nordica, come è interpretato da molti rappresentanti della nuova ondata pagana contemporanea, ma è un’antica forma di divinazione perché ha varie analogie con lo sciamanesimo dei Sami7 in quanto è caratterizzato da stati di coscienza acquisiti con tecniche di trance per attingere a conoscenze nascoste, influenzare positivamente la fortuna, rimodellare il destino di qualcuno tirando e muovendo dei fili. Il termine Seiðr è infatti associato alle parole “Stringhe” e “Corde” che si possono creare filando la lana per ottenere appunto il filato. Questo atto di produrre il filo di lana è un potente processo iniziale di creazione di tutta una serie di beni culturalmente utili a partire da una materia prima, proprio attraverso l’organizzazione delle fibre posizionati in modo casuale e orientati in fili coerenti che possono essere poi intrecciati in un tessuto.
Gli strumenti utilizzati durante i processi di lavorazione incorporano un significato aggiuntivo. Ad esempio le rocche (distaff) erano usate anche come bacchette magiche, il sedile di legno chiamato kubbstol, usato durante l’attività di tessitura, aveva anche una funzione nei rituali, e il telaio verticale divenne “un simbolico ‘stipite’ che conduceva in un altro mondo, e la cornice su cui il tessuto del destino umano viene intrecciato”. 8
Non è appropriato definire le praticanti di Seiðr come streghe perché implicherebbe connotazioni negative. È più corretto usare il termine profetesse che in Islanda erano chiamate Vǫlva, letteralmente portatrici di bastone.
Agli occhi della società norrena, questo tipo di divinazione non era appropriato per gli uomini, e coloro che lo praticavano erano considerati poco virili, effeminati, sessualmente passivi probabilmente a causa – suggeriscono alcune studiose – del tipo di sessualizzazione dei rituali che coinvolgono l’uso delle rocche e che potrebbe essere stato usato per ottenere uno stato di estasi o orgasmo attraverso la masturbazione rituale. Solo Odino, uno degli dei principali della mitologia norrena, fu uno dei pochi uomini a praticare questa magia perché l’aveva appresa direttamente da Freyja, la dea della fertilità, del sesso, dell’amore e della guerra, e riconosciuta come l’archetipica Vǫlva.
ll ruolo delle profetesse era accettato in tutte le prime culture germaniche e menzionato anche nei testi romani di Tacito e Cesare, descrivendone l’influenza politica soprattutto in tempo di guerra. In effetti, molte tombe di donne dell’età vichinga includevano rocche, gioielli e altri strumenti che rappresentano il loro ruolo sociale e il loro status nella società:
“I bastoni usati nei rituali e ritrovati in contesti archeologici riflettono chiaramente la forma di rocca. La veggente che porta un tale oggetto con sè indica l’abilità nel tessere e modellare i fili del destino umano, così come il suo alto status sociale e anche un elemento divino che lei stessa incarna. In questa interpretazione, il suo bastone è anche un oggetto strettamente connesso a una serie di altre pratiche domestiche: dalla tosatura delle pecore al processo di filatura e all’atto di tessere la stoffa su un telaio. Tutte queste azioni fanno parte di un più ampio processo di “creazione” premeditata, ossia di produrre qualcosa secondo uno schema o una procedura rigorosamente definiti.”9

In un articolo su questo argomento, la ricercatrice Karen Bek-Pedersen spiega la relazione tra il concetto di destino nella tradizione norrena e il lavoro tessile:
“Per tessere un pezzo di stoffa, il telaio deve essere predisposto con un ordito – ossia i fili longitudinali che sono legati al telaio stesso – e la parte del processo che è più rilevante in questo contesto è l’infilatura dei licci. […] L’ordine in cui i fili dell’ordito vengono tirati attraverso i licci costituisce la base del disegno sul tessuto finito […] Il disegno disposto nell’ordito, infatti, limita notevolmente le opzioni per ciò che il tessitore può fare con la trama perché, una volta che l’ordito è stato impostato, non può essere cambiato. E’ infatti impossibile modificare l’ordito a metà di una tessitura e, se si commettono errori nell’impostazione dell’ordito, questi passeranno attraverso il tessuto, mentre la trama può, in una certa misura, essere sbrogliata per correggere eventuali errori. […] Naturalmente, la trama è importante come forza che attualizza l’ordito, ma la trama è solo co-creatrice e dispone solo di un numero limitato di scelte; è nell’interazione tra trama e ordito che emerge uno schema e la natura della decisione del tessitore diventa chiara. […] È qui che il concetto di destino si adatta così bene. Il destino, in quanto verità inevitabile che esiste già all’interno di una persona prima che agisca, può essere paragonato allo schema che è presente nell’ordito già prima che inizi la tessitura. […] Il destino nella tradizione norrena è presentato come un processo di attualizzazione, come un’interazione tra ciò con cui si è dato di lavorare e ciò che si fa con esso; ma piuttosto che rappresentare il destino come un inesplicabile potere soprannaturale che si impone alle persone dall’esterno, mostra il destino come qualcosa che proviene dal profondo delle persone ed è vissuto come parte integrante della personalità dell’individuo. L’interazione tra trama e ordito sul telaio del tessitore è un buon modo per descriverlo, e questo è, credo, uno dei motivi per cui la metafora del destino come tessitura funziona così bene.”10
Il tessuto simbolico della realtà è questa complessa visione antica del mondo in cui passato, presente e futuro sono fili intrecciati come un arazzo di eventi e si connette con una tradizione precristiana che le tre figure mitologiche Norne incarnano, influenzando la vita degli umani e degli dèi.
La connessione dei rituali Seiðr con la filatura e la tessitura si basa sul senso di trance e concentrazione che si verifica durante la loro pratica, che aiuta a mettere il focus sullo scopo della vita, utilizzando canti e tecniche meditative, cercando di modificare gli eventi forzando la volontà sulla vita stessa, propria e degli altri in senso buono o cattivo, in un processo di presa di coscienza delle strutture che ci condizionano e nell’acquisire la capacità di ritesserle.

L’Islanda medievale era una cultura unica con molti costumi pagani ancora diffusi nella società perché il passaggio al cristianesimo avvenne molto più lentamente a partire dall’anno 1000:
“La maga nella letteratura islandese rimane la figura dominante, in contrasto con la maga nella letteratura continentale, dove è stata trasformata in una strega con i tratti della lascivia e del cannibalismo. La questione centrale è il motivo per cui questa demonizzazione ha avuto luogo nel continente e non ha avuto luogo in Islanda. La risposta è il cristianesimo. Questa nuova religione denigrava il paganesimo. L’Islanda si convertì al cristianesimo nel 1000 d.C., mentre l’impero romano divenne ufficialmente cristiano alla fine del IV secolo. Il paganesimo era importante nella cultura islandese, e la continua presenza della maga nella letteratura ne è una conferma..” 11
La scomparsa dei telai verticali può quindi essere interpretata più come una trasformazione del ruolo delle donne nella società islandese, lentamente favorita prima dalla conversione cristiana formale e poi con il passaggio al protestantesimo nel 1530:
“La maga era una figura complessa nell’alto Medioevo, una figura creata dalle culture giudaico-cristiana, germanica e greco-romana che in seguito si svilupparono nell’Europa della prima età moderna. Le donne furono associate alla stregoneria a causa del loro ruolo di ostetriche, infermiere, cuoche e custodi della casa. Come madri, erano anche collegate al ciclo di vita dell’uomo e della natura. La loro conoscenza delle erbe le aiutava a produrre pozioni che potevano curare o avvelenare, o causare sterilità o fertilità. Il cristianesimo denigrava la strega; la nuova religione è arrivata a cambiare l’immagine della donna nella società.”11
All’interno di queste fonti interdisciplinari sembra emergere un quadro più chiaro. Il ruolo delle donne sagge come tessitrici di valuta, maghe, guaritrici, ostetriche e molto spesso anche consigliere politiche, è passato dal rappresentare un ruolo fondamentale della comunità, fino ad essere percepita come strega in base a un nuovo codice sociale ed etico che si è diffuso prima con la letteratura ecclesiastica del Quattrocento e poi la successiva caccia alle streghe.
Questa trasformazione è al crocevia di un insieme di processi sociali che coinvolgono, da un lato le relazioni economiche e sociali ridisegnate dalla crescente importanza del mercato, e dall’altro dall’acquisizione luterana della chiesa cattolica nel XVI secolo, culminata in l’approccio mercantilista del monopolio commerciale danese-islandese che cambiò completamente, come spiegato sopra, il modo in cui era organizzata la produzione tessile.
Silvia Federici nei suoi libri, ci ha aiutato a creare queste connessioni e ha fornito un’interpretazione più ampia della caccia alle streghe: “Nominare e perseguitare le donne come “streghe” ha aperto la strada in Europa al confinamento delle donne al lavoro domestico non retribuito. Legittimava la loro subordinazione agli uomini dentro e fuori la famiglia. Ha dato allo stato il controllo sulla loro capacità riproduttiva, garantendo la creazione di nuove generazioni di lavoratori.” 12
Ora tocca a noi tuffarci negli archivi ed estrarre molte più storie che non sono state ancora raccontate. Solo se identifichiamo i diversi fili del nostro ordito possiamo riuscire a tessere il ruolo che vogliamo avere e creare il destino che intendiamo abbracciare nel nuovo mondo che sta arrivando.
Notes
- Michèle Hayeur Smith “Weaving Wealth: Cloth and Trade in Viking Age and Medieval Iceland” – (2015)
- Marta Hoffmann – “The warp-weighted loom” – Universitetsforlaget, 1964.
- Michèle Hayeur Smith “Weaving Wealth: Cloth and Trade in Viking Age and Medieval Iceland” – (2015)
- Kilger, Christoph. “Wholeness and Holiness : Counting, Weighing and Valuing Silver in the Early Viking Period.” (2008).
- Un ell è all’incirca la lunghezza dell’avambraccio di un uomo adulto dal gomito alla punta delle dita
- Jenny Jochens. “Women in Old Norse Society” (1995)
- I sami (sámit o sápmelaš in lingua sami), spesso chiamati erroneamente con l’esoetnonimo lappóni o làpponi, sono una popolazione indigena di circa 75.000 persone stanziata nella parte settentrionale della Fennoscandia, in un’area da loro chiamata Sápmi – Wikipedia
- Leszek Gardela – “Into Viking Minds: Reinterpreting the Staffs of Sorcery and Unravelling” (2008)
- Leszek Gardela – (2008)
- Karen Bek-Pedersen – “Fate and weaving: justification of a metaphor” (2009)
- Katherin Morris – “Sorceress or witch. The image of gender in Medieval Iceland and Northern Europe” (1991)
- Silvia Federici. “Witches, Witch-Hunting, and Women” (2018)
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