
Da almeno un anno l’annuncio è sempre lo stesso: le tecnologie wearable sono pronte a invadere il mercato e a conquistare le abitudini di tutti, adulti e bambini.Frutto del desiderio sfrenato di pochi tech-addicted o di una previsione studiata? Ne abbiamo parlato con Zoe Romano, che si occupa di Digital Strategy e Wearables per Arduino. Per scoprire che nel futuro della wearable technology c’è molto più del mercato consumer.
Cominciamo dal touch: gli analisti dicono che ormai è finita anche quell’era. C’è un legame con l’ascesa dei wearable?
Le tecnologie indossabili stanno diventanto sempre più diffuse sia per la miniaturizzazione delle componenti che per la possibilità di essere rese “invisibili”, perché embeddate direttamente nei tessuti. L’interazione con esse avviene attraverso la gestualità o una reazione automatica ai dati che da essi vengono raccolti.
C’è, secondo la tua esperienza, un settore in cui le tecnologie indossabili si applicano meglio?
In questo momento vedo piu’ promettenti l’ambito entertainment/gaming, medico/well-being e logistica. E preferisco l’approccio in cui la tecnologia è nascosta tra i tessuti, quando quindi i tessuti stessi diventando intelligenti e si va oltre l’idea del gadget tecnologico fatto di plastica o gomma.
Insomma, i campi di applicazione sono più di uno. I wearables sono davvero la “next big thing”?
L’impressione è che ci sia un desiderio molto forte di far partire un trend di espansione di un nuovo mercato piuttosto che una previsione sicura che sia proprio questo il mercato giusto su cui investire. Io preferisco mantenere un contatto con la realtà e osservare sia quello che si muove a livello consumer e la sperimentazione DIY (Do It Yourself, ndr) in corso. Una recente ricerca svolta negli Stati Uniti rileva che un terzo dei possessori di un wearable ha smesso di usarlo entro i primi 6 mesi. Altri segnali mi sembrano da tenere in conto: un paio di mesi fa FitBit, tra i brand più famosi e diffusi, ha dovuto ritirare il suo nuovo prodotto bracciale perché causava dermatite e Nike ha annunciato di dismettere il team che ha lavorato su FuelBand per concentrarsi solo sul software. Quest’ultima mossa non è interpretabile in modo chiaro ma entrambe ci mostrano come la strada e il filone di crescita di questo settore sia per certi versi ancora un’incognita.
Proviamo a sciogliere questa ingognita. Dovendo immaginare il futuro di questa tecnologia, cosa possiamo dire oggi?
Tutto il mondo del DIY e della componentistica è molto più interessante del mondo consumer tecnologico in senso classico. Le sperimentazioni e i progetti che nascono da una collaborazione dal basso, spesso sono più stimolanti rispetto all’accessorio indossabile che si trova nei negozi. Abbiamo già visto come l’apertura dei codici e l’hackerabilità dei prodotti stia diventando un plus per sempre più persone. Il sapere “cosa c’è dentro e come funziona”, quali sensori contiene, quali dati personali raccoglie e come questi dati sono usati dall’azienda che mi vende il gadget, diventano informazioni e features richieste da sempre più ampie fette della popolazione.
E da un punto di vista sociologico le indossabili influenzeranno le relazioni tra le persone?
Sì, sicuramente. L’aspetto più dirompente è quando un prodotto è stato pensato per un determinato uso e poi le stesse persone che lo utilizzano o addirittura intere community lo modificano per farne altro, magari con un impatto sociale che i produttori stessi non si erano neanche immaginati. Questo può avvenire solo se iwearables sul mercato sono stati pensati come maker-friendly e non chiusi e univoci come la maggior parte dei gadget tecnologici.